12/03/2018

NEWS N° 404 MARZO 2018 – INFORTUNIO GRAVE: AZIENDA CONDANNATA A PAGARE 60.000 € PER IL D.LGS. 231/2001 OLTRE ALLA CONFISCA DEL PROFITTO

Per informazioni rivolgersi a: ing. Mirco Siciliano (mircosiciliano@atseco.it)
Reggio Emilia, 12 marzo 2018
L’infortunio
L’infortunio è avvenuto di notte in una fonderia.
Il metallo fuso viene movimentato dal forno allo stampo per mezzo di alimentatori automatici a tazze che scorrono su binari. Il metallo fuso viene quindi versato in stampi d’acciaio montati su conchigliatrici, poste in prossimità dei forni.
Il lavoratore era addetto al caricamento del forno, scarico dei prodotti finiti ed alla pulizia delle scorie che si formano sulla superficie del forno con un raschietto.
Il giorno dell’infortunio, durante il turno notturno, erano presenti tre lavoratori di una cooperativa: uno operava alla sbavatura e altri due erano, diversamente da quanto stabilito dal contratto d’appalto, adibiti alla fusione.
A causa dell’andamento positivo sul mercato, il carico di lavoro era così elevato da far funzionare i forni di fusione 24 ore su 24. Durante il giorno i forni di fusione erano utilizzati, correttamente, dai dipendenti della fonderia, mentre di notte lavoravano i facchini della cooperativa.
Nella notte dell’infortunio, durante la pulizia del forno dalle scorie il lavoratore è stato colpito da un caricatore a tazza e spinto contro il crogiolo. La mano e l’avambraccio sinistri sono entrati nel forno che aveva una temperatura di 750°C; il lavoratore ha riportato gravi ed estese ustioni di 2° e 3° e la carbonizzazione della mano. L’infortunio ha portato a un’assenza di oltre 800 giorni e non risulta ancora chiuso.
Durante l’inchiesta è risultato che i lavoratori non sapevano come usare la macchina né come arrestarla. L’azionamento del pulsante di emergenza ha bloccato la macchina lasciando il lavoratore incastrato fra la tazza ed il forno.
I risultati dell’inchiesta

  • L’infortunato lavorava per una cooperativa che aveva in appalto lavori di “facchinaggio e sbavatura”. Da qualche settimana veniva però utilizzato per svolgere compiti lavorativi diversi da quelli oggetto dell’appalto e per i quali non aveva avuto alcun tipo di formazione e addestramento, su una macchina a lui sconosciuta e non collaudata, in orario notturno e prolungato (dalle 7 di sera alle 7 del mattino).
  • L’isola di fusione automatica, da intendersi quale “macchina” ai sensi dell’art. 2 della direttiva macchine, era composta da un forno a crogiolo a metano, da una conchigliatrice (stampo), da un alimentatore a tazza e da un robot di prelievo del pezzo fuso dalla conchigliatrice. L’insieme di macchine così predisposto non era stato collaudato e pertanto era da intendersi non marcato CE e quindi non conforme alle specifiche disposizioni legislative e regolamentare di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto. Nonostante ciò era in funzione da più di un mese.
  • I rischi derivanti dall’impiego dell’isola di fusione non sono stati adeguatamente valutati; infatti, l’isola era priva di adeguate protezioni perimetrali, barriere materiali o immateriali che impedissero l’accesso dei lavoratori alle zone pericolose, in cui erano presenti elementi mobili (alimentatore a tazza, stampi delle conchigliatrici, robot) contenenti materiale fuso a una temperatura di 750°C.

 
Le condanne
I responsabili della fonderia sono stati sottoposti a processo e con loro anche l’azienda, dagli stessi amministrata, ai sensi del D.Lgs 231/2001.
Il Tribunale ha condannato i membri del consiglio di amministrazione della fonderia per il reato di lesioni personali gravissime colpose (art. 590, comma 2 e 3 c.p.), il reato di omissione colposa di cautele contro gli infortuni sul lavoro (art. 451 c.p.) oltre che per le contravvenzioni alla normativa antinfortunistica ai sensi del D.Lgs 81/2008.
A causa delle gravi violazioni a quest’ultima è stato disposto il sequestro preventivo dell’intera fonderia. La società si è quindi prodigata al fine di ottenere il dissequestro ottemperando alle prescrizioni impartite dagli organi di vigilanza, pagando le relative sanzioni ed effettuando un esborso per la messa in sicurezza dell’intero complesso produttivo complessivamente pari ad oltre € 350.000,00 (oltre le sanzioni).
Il Tribunale ha altresì dichiarato la responsabilità della società (art. 25 septies D.Lgs 231/2001) condannandola al pagamento della sanzione pecuniaria di € 60.000,00, oltre alla confisca del profitto del reato coincidente con il risparmio di spesa relativo ai presidi di sicurezza omessi per l’importo di € 17.000,00.